Simone Ferrero

Un Paese avverso al rischio 🇮🇹

Simone Ferrero

Che cosa vuol dire rischiare?

C’è un qualcosa di estremamente naturale e ordinario nel correre rischi. L’ominide che nell’Africa centrale 200.000 anni fa ha deciso di spingersi un po’ fuori dall’ambiente dove sembrava naturale stare, e così la generazione a seguire e la generazione a seguire ancora. Tutto ciò, rischiando di essere ammazzato da una specie di leone particolarmente aggressiva, o ancora un nuovo animale mai visto prima. E il rischio di morire o essere ammazzati da predatori o altri gruppi di umani era però collegato ad una migliore prospettiva di vita, di cibo e altre risorse. Quando si prende un rischio, lo si fa perchè “dall’altra” parte dell’azione intrapresa c’è un qualcosa che ne vale la pena.

Anche le parole collegate al rischio sono una chiara prospettiva a ciò che è legato ad essa. “Valere la pena”, ovvero che far qualcosa, nonostante il male che verrà, darà una ricompensa maggiore al costo effetuato per arrivare a quell’obiettivo. Anche il correre rischi è una locuzione simpatica, correre è un verbo così attivo, che da la sensazione di dover proprio faticare e usare così tante energie. Non sono l’enciclopedia Treccani, e tanto meno Alessandro Barbero (di cui però condivido fieramente la città natale), la mia intenzione è semplicemente di evidenziare che rischiare qualcosa, arriva solitamente discapito di qualcos’altro.

Quando si prende un rischio, possono di solito succedere una pletora di eventi. Mettiamo caso che si parli di scommettere su che lato una moneta atterrerà. Abbiamo due eventi, testa e croce. Se uno scommette su testa, e la moneta non è truccata, avrà circa il 50% di probabilità di aver ragione (o forse no?). Questo è un evento a distribuzione binomiale (o uno o l’altro) ma ci sono una moltitudine di diversi tipi di distribuzioni e combinazioni. Un dado già presenta uno schema diverso, ci sono ben 6 facce che possono uscire. La moneta ed il dado sono oggetti molto semplici, conosciamo tutte le possibili combinazioni.

Ora immaginate la complessità della nostra vita, di una qualsiasi azione intrapresa, e immaginate tutte le possibilità di eventi intermedi che possono prendere. La realtà in cui viviamo è raramente prevedibile e tutto ciò crea incertezza. Mentre nell’esempio precedente sapevamo esiste testa e croce, e il dato di facce ne ha 6, nella realtà molte volte di risultati ce ne sono molteplici di più, o infiniti. Quale era la probabilità che il cristianesimo diventasse così diffuso nel mondo romano al tempo? Poteva diffondersi poco, o solamente in Giudea, oppure poteva morire dopo qualche centianaio di anni, eppure è diventata la prima religione del mondo. In un mondo parallelo, magari, l’Italia è il baluardo di una religione pagana sopravvissuta per millenni. Gli eventi capitano ma ci sono infinite altre possibilità che non sono diventate realtà ma sono semplicemente morte.

Cristo, come figura storica, è stato un vero goloso del rischio. Qualcuno potrebbe dire che il suo fine ultimo si è avverato, ma il mondo del tempo sicuramente non prendeva alla leggera il modo di proporsi del Messia. Allo stesso modo, per ogni Gesù, Buddha e Maometto, ci sono migliaia di altri profeti o “messia” di cui non avete mai sentito parlare, e al tempo magari venivano pure considerati dei pazzi e dei reietti sociali da escludere e possibilimente esternalizzare dalla società. Senza andare troppo fuori tema con le metafore religiose, per tutti i famosi imprenditori e politici famosi che conoscete, immaginate dietro di loro una sterminata folla di persone le cui capacità e conoscenze erano simili o magari anche superiori, ma semplicemente qualcosa è andato storto.

Torniamo un attimo all’incertezza. Noi umani siamo delle macchine fantastiche, abbiamo dentro la nostra mente, la capacità di prevedere il futuro, o meglio, immaginare il futuro, in tante varianti e in tante diverse occasioni. Prima del mio esame orale di maturità mi ricordo di aver pensato a tutte le combinazioni di domande possibili che il commissario avrebbe potuto farmi, e alla fine senza troppo dubbio, non ne ho azzeccata una. Una decisione senza incertezza è una bazzecola, non si chiamerebbe neanche decisione. E’ l’incertezza che inserisce quella complessità di calcolo che la nostra mente deve snocciolare. Se devo decidere tra due offerte di lavoro, magari molto simili di retribuzione e mansione, cosa sceglierò? Dovrò basarmi su informazioni e sfruttare quella macchina naturale che abbiamo per immaginare il futuro e scegliere l’opzione che ci sembra più favorevole.

C’è un concetto che ritengo molto importante da capire e di cui avere padronanza nel mondo moderno, di cui però nessuno ci viene mai a parlare, che è il concetto di valore atteso. Ovvero espresso in termini matematici. Un piccolo esempio può essere questo gioco: immaginate di dover prendere una decisione tra due alternative. Ognuna di queste alternative ha due stati, uno favorevole ed uno sfavorevole, e ognuno di questi stati per tutte e due le alternative hanno delle probabilità. Se intraprendo Opzione A avrò il 70% di probabilità di ottenere 100€ e il 30% di probabilità di ottenere 20€. Se invece intraprendete l’Opzione B avrete l’80% di probabilità di ottenere 15€ e il 20% di ottenere 500€. Cosa sceglieremo? Se uno vuole farsi guidare dalle emozioni è libero di farlo, ma magari non sta massimizzando le proprie possibilità. Ma se uno computa il valore atteso di entrambe le opzioni, ovvero quanto in “media” scegliere quella opzione vi farà avere indietro, attraverso un semplice calcolo di somma prodotto allora sapremo che l’opzione B è la più attraente.

Siete pronti per prendere rischi nella vostra vita, avete tutti gli strumenti per farlo, basta calcolare il valore atteso, semplice no? No. La realtà è spietata, perchè stimare la vincita e il costo di un’attività molte volte non è fattibile, oppure nonostante possiamo avere una certa fiducia sui numeri, non ci possiamo fare totale affidamento. Non potremo mai rimuovere l’incertezza dall’equazione della vita, perchè è tutto così complesso che nessuna macchina, cervello o spirito guida potrà districarsi sulle possbili realtà.

L’importanza del rischio

La mente umana è terribilmente incapace di capire e visualizzare le probabilità. Andare in aereo ci sembrerà sempre più rischioso di andare in bicicletta, eppure la sensazione sarà l’opposto. Perchè c’è uno sbilanciamento negli eventi che prevediamo dalle nostre azioni. In questo esempio, quando saliamo sull’aereo, il nostro cervello inizia a dirvi, nel migliore dei casi, (forse) arriveremo a destinazione in orario, nel peggiore dei casi, l’aereo cade e muoriamo. C’è una grande disparità nella gravità degli eventi in considerazione. Sulla bicicletta, il pensiero di cadere e farsi veramente male è così remoto e improbabile. Eppure il valore “atteso” dell’aereo e della bicicletta sono estremamente a favore del primo. Nella grande maggioranza dei casi, arriveremo (probabilmente in ritardo) a destinazione senza un graffio, mentre la bicicletta risulterà molto più rischiosa.

Abbiamo dunque capito che ci sono delle asimmetrie nelle distribuzioni di eventi, a cui facciamo fatica a dare un peso. Voglio introdurre un ulteriore spiegazione ai rischi negativi. Prendiamo per esempio la roulette russa. Giochiamo a questo gioco con altri 5 amici, in palio ci sono 100.000€ per tutti coloro che non vengono ammazzati dalla pistola. Il primo a giocare sei proprio tu, con 5/6 di probabilità, vincerai 100.000€, nel restante 1/6, ti sparerai in testa. Ora immagina un biglietto della lotteria il quale valore atteso è lo stesso della roulette russa (5/6*100.000). Lasciamo stare le probabilità di vincita e il montepremi vero e proprio, per questo esempio è irrilevante. Essenzialmente nella parte “positiva” del rischio, questa scommessa è esattamente la stessa, ma nel lato sinistro (e negativo) della distribuzione, ciò che succede è estremamente diverso. Essenzialmente, ci sono rischi, il cui “downside” è estremamente peggio dell’upside, anche a parità di valore atteso. E questi sono rischi che preferibilmente non vogliamo correre (a meno che il vostro appetito al rischio, sia pari a quello di volare con il wingsuit).

Il prossimo concetto è quello relativo al tradeoff tra rischio e ritorno atteso. Al crescere del rischio (che essenzialmente le cose possano sia andare bene, che andare male) avremo un incremento del ritorno atteso. I veri specialisti del settore staranno subito pensando che non sia così lineare, ed è vero, nella realtà potrebbe assomigliare più ad una forma sinusoidale, ma per semplicità rimaniamo ad un modello lineare. In pratica possiamo immaginare questa semplice regola naturale osservando la realtà. Se decidete di intraprendere la carriera di insegnante, avrete probabilmente una ottima e appagante professione, tuttavia non diventerete ricchi. Diversamente, un imprenditore che decide di aprire una azienda che si occupa di tecnologia, potrebbe sia avere un discreto successo ed arricchirsi, che non riuscire a trovare spazio nel mercato e dover chiudere l’azienda. Similarmente, questa regola funziona in molti ambiti della propria vita, dalle relazioni amorose agli investimenti su mercati azionari.

All’incrementare del nostro appetito al rischio, potremmo aspettarci maggiori e maggiori ritorni (e contemporaneamente maggiori e maggiori delusioni). Tuttavia, è importante ricordare il ruolo essenziale del risk-taker nella società. Come l'ominide è uscito dall'africa centrale, nella società moderna colui che prende i rischi giusti aiuta a far progredire tutti gli altri. Ed è per questo che considero il vero eroe moderno, colui che corre rischi.

Siamo diventati avversi al rischio?

Se ci spostiamo da una prospettiva astratta e guardiamo all'Italia, vediamo che come società siamo diventati più avversi al rischio. I dati ci mostrano che l'imprenditorialità è in declino in Italia (https://www.ilsole24ore.com/art/sempre-meno-aziende-under-35-66percento-2019-AEgmPFsC), tuttavia questa misura mostri un qualche sintomo di come ci piaccia meno il rischio, non raffigura l'intero fenomeno. Quello che voglio descrivere, non è solamente nel mondo imprenditoriale, ma a livello culturale. E lì raccogliere dati e mostrare quatitativamente che ci siamo impigriti è quasi impossibile.

Dico che è un problema culturale perchè in qualunque contesto ci siamo abbandonati allo status quo, che diamo per assodato e inviolabile. Non vogliamo e riusciamo a cambiare il modo in cui le "cose pubbliche" vengono svolte. La burocrazia è parte del sistema, che ci vuole fare signora mia?. A lavoro, dopo aver svolto le proprie mansioni in maniera eccellente ed aver fatto guadagnare soldi all'azienda non rischiamo di pretendere un aumento per non far arrabbiare il proprio capo. Oppure non rischiamo di proteggerci da inflazione e future spese investendo soldi nel "mercato azionario", che anche solo pronunciarlo ti rende equiparabile ad un fan delle corse dei cavalli.

Insomma, la paura di perdere è così pervasa nella nostra testa che il paese retrocede (naturalmente) perchè non vogliamo cambiar le cose per paura di fallire. E ripeto, non è una questione puramente politica, ma anche famigliare, lavorativa e personale. Quello che vedo accadere, è che il costo dell'inazione e della paura di correre qualsiasi tipo di rischio, fa si che il ritorno atteso del paese sia nullo o negativo.

Il ruolo di un paese: diversificare.

In quest'ultima parte proporrò una visione del paese che potrebbe aiutare a risolvere in parte questo problema. Essenzialmente io vedo la società come collettivo e come "ente", un gestore di portafoglio finanziario. I quali cittadini e abitanti sono gli asset finanziari di cui dispone, alcuni saranno molto propensi a rischiare mentre altri lo saranno gradualmente di meno. Il ruolo dell'asset manager, è quello di gestire le proprie risorse affinchè si ottimizzi il risultato finale. Detto fuori dalla metafora, il ruolo dello stato è fare in modo di usare il meglio di ogni risorsa per massimizzare il benessere dei cittadini. E' assolutamente impensabile avere un'intera popolazione di imprenditori, così come è impensabile avere un paese dove siamo tutti dipendenti pubblici (qualcuno ci ha provato, è finita bene?). La giusta soluzione è nel mezzo.

Il ruolo "attivo" del paese è quello di permettere ai propri risk-takers, di provarci fino in fondo con le cose pazze ed insensate, in molti si schianteranno, ma i pochi che risulteranno vincitori avranno creato della conoscenza così grande da poter portare benefici a tutti gli altri. In Italia, per come sono fatte le cose nel mio presente (2023), non è così. Le persone che vengono definite con alto arbitrio, sono rilegate nella burocrazia orwelliana. Qualche creativo si sarà scontrato con i moduli di apertura di una SRL e avrà deciso che non ne vale la pena. Ne ho parlato in un post precendente (qui), serve semplificare il paese, dobbiamo veramente lasciare libertà a queste risorse, perchè ingabbiandole non otterremo niente.

Se da una parte dobbiamo permettere ai brillanti di brillare, dall'altro lato dobbiamo staccarci da questa cultura del fallimento e dell'avversione al rischio. Tutto l'impianto scolastico e culturale prende in braccio i bambini a 6 anni e li lascia a 19 senza averci mai fatto scontrare con nulla. I ragazzi devono essere spronati a fallire continuamente, e ad ogni fallimento incoraggiati a fallire ancora. Un amico mi ha suggerito la differenza tra la morale e l'etica: la prima è quella guidata da cultura, tradizioni e contesto sociale mentre la seconda è quella che integra valori come responsabilità, lavoro ed integrità. Essenzialmente, dobbiamo "svecchiarci" (non solo in termini di nascite) il che vuol dire ri-insegnarci che per avere un miglioramento ed avere di più, dobbiamo rischiare e farci male, finchè il bene creato ci farà dire che ne è varsa la pena.

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